COORDINAMENTO DONNE per la PACE – Presentazione Libri

Vi presenteremo i libri e Vi mostreremo i nostri manufatti e, attraverso la loro vendita, sosterremo le associazioni che intervengono nei campi profughi in Siria

http://www.peacelink.it/pace/a/40267.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

COORDINAMENTO DONNE PER LA PACE

IL COORDINAMENTO DONNE PER LA PACE

Vi aspetta il 28 giugno 2014 a Solaro (MB) presso la festa democratica,

che si svolgerà nel centro sportivo di corso Berlinguer dalle ore 18.00

 

Saranno con noi, per parlarci dei loro libri:

Laura Tussi

Fabrizio Cracolici

Mario Agostinelli

Alfonso Navarra

Giuseppe Bruzzone

 

Vi presenteremo i libri e Vi mostreremo i nostri manufatti e, attraverso la loro vendita, sosterremo le associazioni che intervengono nei campi profughi in Siria




Incontri in Biblioteca – Presentazione “Esigete! Un disarmo nucleare totale” di Stéphane Hessel, EDIESSE 2014 ESIGETE! Un

Iniziativa editoriale promossa dall’Associazione Energiafelice-Arci:

Incontri in Biblioteca – Presentazione “Esigete! Un disarmo nucleare totale” di Stéphane Hessel, EDIESSE 2014

ESIGETE! Un disarmo nucleare totale di Stéphane Hessel e Albert Jacquard.
A cura di Mario Agostinelli, Luigi Mosca, Alfonso Navarra. Presentazione di Emanuele Patti. Prefazione di Antonio Pizzinato. Con citazione del Progetto “Per Non Dimenticare”- Città di Nova Milanese e Bolzano

 

http://www.peacelink.it/pace/a/40252.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

Presentazione presso l’Istituto Comprensivo “DON LORENZO MILANI” – Lodi 28 Marzo 2014

BIBLIOTECA GALLARATESE

Via Quarenghi, 21 – MILANO

ZONA 8

tel. 02884.64270

Gli incontri in biblioteca

Incontri in Biblioteca

I libri

 

ESIGETE!

Un disarmo nucleare totale

Stéphane Hessel

Albert Jacquard

A cura di

Mario Agostinelli, Luigi Mosca, Alfonso Navarra.

Presentazione di Emanuele Patti

Prefazione di Antonio Pizzinato

Iniziativa editoriale promossa dall’AssociazioneEnergiafelice-Arci

Giovedì  19 giugno 2014

Ore 18.00

Intervengono

Mario Agostinelli

Fabrizio Cracolici – Presidente ANPI Nova Milanese

Laura Tussi – Progetto “Per Non Dimenticare” Città di Nova Milanese e Bolzano

 

Presentazione a Lodi

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ESIGETE! UN MANIFESTO PER IL DISARMO NUCLEARE TOTALE

Opporsi al nucleare civile per opporsi al nucleare militare

A pochi giorni dal terzo anniversario della catastrofe di Fukushima, mentre in Italia vengono “ammodernate” le B61 (le bombe nucleari Usa) nelle basi di Ghedi e Aviano, arriva in Italia il pamphlet postumo di Stéphane Hessel che, insieme ad Albert Jacquard, firma un manifesto per il disarmo nucleare totale.

Semplice, chiaro, efficace. Hessel e Jacquard rendono attuale un tema che pare scomparso addirittura dall’immaginario pacifista e lo coniugano con l’attuale necessità di parlare ai giovani di cosa occorra cambiare perché il nostro pianeta possa vivere e sopravvivere. Hessel ci insegna a ripartire dalle nostre esperienze, dal cercare e praticare la democrazia e la pace, assicurando vita e futuro alle nuove generazioni e difendendo spazi che l’umanità ha l’obbligo di conservare anziché distruggere.

 

Mario Agostinelli, chimico-fisico, è stato ricercatore all’ENEA. Opera da anni nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre ed è portavoce per il Contratto mondiale per l’energia e il clima. Presidente dell’Associazione “Energiafelice” (www.energiafelice.it).

Vedi anche

Pace

Stéphane Hessel, “ESIGETE! Un disarmo nucleare totale”, EDIESSE 2014

La Memoria Storica per l’Educazione alla Pace e per il disarmo nucleare mondiale

27 marzo 2014 – Laura Tussi

 




PeaceLink intervista Claudia Pinelli, figlia dell’Anarchico Giuseppe “Pino” Pinelli

Per Non Dimenticare…

PeaceLink intervista Claudia Pinelli, figlia dell’Anarchico Giuseppe “Pino” Pinelli

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Intervista a Claudia Pinelli

Per Non Dimenticare…

Laura Tussi – PeaceLink intervista Claudia Pinelli, figlia dell’Anarchico Giuseppe “Pino” Pinelli

1.     Il ricordo di tuo padre è stato un punto fermo nella vita della famiglia Pinelli. Quali sono le parole più significative e gli ideali più alti che la sua memoria ti ha trasmesso?

Il suo ricordo sicuramente è  un punto fermo nella nostra famiglia e abbiamo dovuto testimoniarlo innumerevoli volte, ma la memoria sua e di quello che accadde appartiene a  tutta la società civile.

Pino era un ottimista che viveva con entusiasmo quel tempo di speranze di profondi cambiamenti. Aveva dato il suo contributo, giovanissimo, alla lotta partigiana, come staffetta, maturando dall’esperienza della guerra il rifiuto per qualsiasi autoritarismo. Aveva letto moltissimo, forgiato il suo pensiero con  i classici del pensiero anarchico, studiato l’esperanto credendo veramente che una lingua comune avrebbe fatto cadere le barriere tra i popoli, era impegnato nel movimento anarchico, nel sindacato di base, nel pacifismo e nella non violenza. Faceva da tramite tra persone di generazioni e ideologie differenti, sempre aperto al dialogo e al confronto. E aveva una moglie che amava e due figlie. Poi la strage di piazza fontana, la sua orrenda morte, la sua immagine che esce deformata dalle dichiarazioni di quegli stessi responsabili del suo fermo illegale e dell’interrogatorio che stava subendo quella notte quando precipitò dalla finestra al quarto piano della questura.

Pino è diventato un simbolo dei diritti negati e dei connotati violenti che può assumere  il potere. Lui era una persona positiva e ha  insegnato a noi e non solo a noi, l’importanza dell’impegno in prima persona.

2. Anarchia è responsabilità e ragionamento: non è violenza. Con quali modalità e azioni tuo padre credeva nell’obiezione di coscienza e nel disarmo?

Quella che riporti è una frase dell’ultima lettera che mio padre scrisse e diventa ancora più significativa pensando che lo fece proprio nel pomeriggio del 12 dicembre 1969.

Pino aveva studiato l’esperanto, lingua che aveva imparato molto bene e che avrebbe voluto insegnare. Con questo strumento comunicava con persone di ogni parte d’Europa, che ospitava anche a casa. Era entrato in contatto con le idee che infiammavano quegli anni, con la contestazione giovanile, con i movimenti contro la guerra del Vietnam e con la sua capacità di dialogo divenne tramite tra generazioni differenti E’ stato tra i primi a organizzare incontri pubblici dedicati al tema dell’antimilitarismo insieme a obiettori di coscienza che vennero incarcerati per il loro rifiuto di indossare una divisa. Partecipò e organizzò marce per la pace, indisse manifestazioni e comizi per l’obiezione di coscienza, il pacifismo e la non violenza, Sostenne la stampa e la diffusione dei primi numeri di “Mondo Beat”, giornale che illustrava l’importanza della non violenza e la necessità del pacifismo

C’è una bellissima testimonianza di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia, che a poche ore dalla morte di Pino scrisse una lettera che rese pubblica in cui ricorda mio padre con queste parole

“Conosceva, e non per sentito dire, movimenti e gruppi che si ispiravano alla non-violenza e voleva discutere con me sulle possibilità che la non-violenza diventasse strumento d’azione politica e l’obiezione di coscienza stile di vita, impegno sociale permanente. Io gli parlavo di società basata sull’egoismo istituzionalizzato, di disordine costituito, di lotta di classe e lui mi riportava oltre le formule, alla radice dei problemi, incrollabile nella sua fede nell’uomo e nella necessità di edificare l’uomo nuovo, lavorando dal basso. Poi ci vedemmo in molte altre occasioni e i punti fermi della nostra amicizia divennero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, due preti scomodi, che hanno lasciato il segno e non solo nella chiesa….Viveva del suo lavoro, povero come gli uccelli dell’aria, solido negli affetti, assetato di amicizia, e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana… Si è sempre battuto  contro l’individualismo delle coscienze addomesticate: lui, ateo, aiutava i cristiani a credere (e lo possono testimoniare tanti miei amici cattolici); lui operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici. Non ignorava le radici sociali dell’ingiustizia, ma non aveva fiducia nei mutamenti radicali, nelle `rivoluzioni’ che lasciano gli uomini come prima. Paziente, candido, scoperto nel suo quotidiano impegno, era lontano dagli estremismi alla moda, dalle ideologie che riempiono la testa ma lasciano vuoto il cuore. Stavo bene con lui, anche per questo.”

3 In qualità di testimone degli eventi, come ti poni nei confronti del pensiero socialista e libertario del grande Partigiano e Padre Costituente Stéphane Hessel che ha lanciato appelli di pace per la nonviolenza e per il disarmo nucleare totale? Come tuo padre avrebbe attuato e condiviso tali idee?

 

Il mio essere testimone degli eventi è marginale rispetto al ruolo avuto da mia mamma Licia, una persona meravigliosa che è diventata roccia per noi e per lui quando tutto il nostro mondo è andato in frantumi. E di tutte quelle persone che ci sono rimaste vicine e ancora lo sono, con estremo coraggio in situazioni anche molto difficili. Da quello che io conservo di mio papà e da quello che mi hanno raccontato di lui credo si sarebbe avvicinato con curiosità e interesse alle idee di Stephane Hessel cercando di valutare e di capire, come faceva per tutte le idee e le cose che lo stimolavano, ma non mi posso permettere di parlare per lui, di dire come avrebbe attuato o anche se avrebbe condiviso tali idee. Nessuno di noi è lui.

4  .  Un messaggio alle generazioni presenti e future “Per Non Dimenticare” la memoria degli eventi.

Non bisogna accettare in maniera passiva le verità ufficiali, bisogna sempre cercare e essere critici, mantenendo viva la capacità di indignarsi. La memoria deve essere come un filo di luce puntato implacabilmente sul passato perché  mantenendo viva l’attenzione, la ricerca, la comprensione di quello che è stato questo potrà essere di insegnamento e monito per il presente e potrà aiutarci a trovare la forza per ribellarsi a chi ci vorrebbe spettatori passivi invece che cittadini che partecipano e scelgono. Solo così si avranno gli strumenti per costruire una società più giusta e più umana.

Note:

su Il DIALOGO.org:
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/storia/Analisi_1401134269.htm

su PRESSENZA – International Press Agency:
http://www.pressenza.com/it/2014/05/per-non-dimenticare-intervista-claudia-pinelli/

 




Egidia Beretta Arrigoni, IL VIAGGIO DI VITTORIO, Baldini & Castoldi, Milano 2013

Recensione:

http://www.peacelink.it/pace/a/40192.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

IL VIAGGIO di VITTORIO

Libro di Egidia Beretta Arrigoni

Recensione di Laura Tussi

Editore Baldini & Castoldi, Milano 2013

 

“A Vittorio e ai sognatori che non hanno mai smesso di sognare”

 

In una narrazione commossa e appassionata, Egidia Beretta Arrigoni racconta l’infanzia del figlio Vittorio, che non era né un eroe né un martire, ma solo un ragazzo che ha voluto riaffermare, con un impegno autentico, quanto i diritti umani vanno rispettati e difesi. Ovunque. Così la madre di Vittorio Arrigoni racconta la breve vita di suo figlio, il cui barbaro assassinio, avvenuto a Gaza nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, è stato pianto dei giovani di tutto il mondo. Egidia Beretta Arrigoni nel libro ripercorre il viaggio nella vita e per il mondo di Vittorio (Perù, Congo, Togo, Libano) come un estremo atto d’amore per il figlio, diventando testimone diretta della sua esistenza, soprattutto tra i giovani e nelle scuole, per trasmettere l’importanza di un attivismo speso per l’Utopia, formatasi anche tra le mura familiari con l’esempio di genitori impegnati nel sociale per tutelare i diritti dei più deboli.

Vittorio non voleva essere sepolto sotto nessuna bandiera e voleva che sulla propria lapide venisse scritta la celebre frase di Nelson Mandela “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare”. Vittorio era capace di sentire nel profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Nei primi viaggi, cercava la sua dimensione tramite il lavoro di volontariato, in situazioni sempre difficili, mettendosi semplicemente al servizio degli altri, cercando la pace attraverso la ricerca della giustizia per gli oppressi, i deboli, i reietti del mondo, intessendo affinità spirituali, intime, quasi mistiche con i bambini che incontrava a Gaza e nei suoi viaggi, nella gioia di riconoscersi simili, in un’innocenza ritrovata.

Vittorio ha compiuto i sui primi viaggi per uscire da un mondo che gli stava stretto, ma è stato grazie ad essi che ha maturato quella consapevolezza umana che poi è diventata fondamento della personale esistenza. Comprese che il malessere interiore, la ricerca del senso del vivere potevano trovare risposte attraverso la fratellanza, la solidarietà, la condivisione delle realtà difficili, spesso tragiche, che incontrava nel proprio cammino. Nel 2002 Vittorio affrontò il primo viaggio in Palestina. I messaggi alla famiglia restituivano un ragazzo pieno di sconcerto per i drammi a cui assisteva ogni giorno. Non si capacitava del fatto che nella stessa Gerusalemme, città multiculturale, crogiolo delle tre religioni monoteiste, si potesse praticare la segregazione di una parte della popolazione. Come criticava l’estremismo di Hamas, al tempo stesso Vittorio contestava duramente anche la politica di Al Fatah, soprattutto dopo la morte di Arafat, quando la corruzione dilagante aveva ormai travolto anche la forza più genuina e autorevole della Palestina. Vittorio scelse di praticare l’interposizione nonviolenta, mettendosi tra due belligeranti, sia tra persone e carri armati e bambini e tra manifestanti e poliziotti pronti a sparare. Frapporsi, mettersi in mezzo, tramite la terza via della nonviolenza attiva e della Resistenza civile. Si trattava di una pratica pericolosa come dimostra la tragica vicenda di Rachel Corrie. A Vittorio, l’idea scaturita dagli accordi di Oslo, che prevedeva una soluzione con due popoli e due stati, non convinceva. I fatti gli davano ragione. Israele continua ad accaparrarsi territorio, riducendo sempre più lo stato palestinese. Vittorio pensava che la vera soluzione risiedesse nella costituzione di uno Stato con due popoli dotati di uguali diritti e dignità: uno Stato multietnico e non etnocratico. Nei suoi reportage, Vittorio raccontava e denunciava la vita negli ospedali, le vittime, la violenza, la distruzione, la morte e insieme ai massacri, riuscì anche a raccontare l’umanità che pullulava nella striscia di Gaza. L’opinione pubblica internazionale non sembra indignarsi per quanto accade in Palestina e i potenti della terra non si mobilitano per fermare il massacro. L’operazione “Piombo Fuso” era considerata un problema interno allo Stato di Israele e approvata con la consueta sudditanza. Nonostante la distruzione di “Piombo Fuso”, nonostante le ferite a morte nei cuori, nonostante la disperazione, si avvertiva a Gaza il desiderio assurdo di confrontarsi con le iniziative, i pensieri, i sogni di questo ragazzo che trascinava un popolo intero per liberarlo dalla rassegnazione. Così non esistevano più nemici esterni come Israele ed interni come Hamas e Fatah che potessero impedire alle giovani e ai giovani palestinesi di sognare. Con Vittorio, l’utopia era approdata a Gaza. Quell’utopia era così forte da convincere tutti che il mondo che abbiamo dentro, i sogni, le aspirazioni, le speranze, fossero una dimensione reale e che ciò che era fuori, la guerra, i soldati, il razzismo, i diritti violati, la morte, fossero un’alterazione della realtà che con la nostra determinazione potrà essere abbattuta. Vittorio viaggiava seguendo la rotta meno praticata dai vascelli umani, una navigazione lenta e inesorabile in direzione della terra degli ultimi, i dannati dall’indifferenza, i condannati dall’oblio, attraverso gli scritti, i versi e le prose per “Restare Umani”, quando la guerra riduce l’uomo in una poltiglia contaminante di odio.

Il ricavato della vendita del Libro sarà interamente devoluto dalla Signora Egidia Beretta Arrigoni alla Fondazione “Vittorio Arrigoni – Vik Utopia”

Note:

sul Sito PalestinaRossa:
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/story/recensione-il-viaggio-di-vittorio-di-egidia-beretta-baldini-castoldi-milano-2013

su Il DIALOGO.org:
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/Recensioni_1401134737.htm

 




UN RACCONTO di VITA PARTIGIANA

Presentazione con PeaceLink – Telematica per la Pace, con sede a Taranto:

UN RACCONTO di VITA PARTIGIANA

Dalla Resistenza l’avvio di una cultura di Pace e Convivenza – ANPI Sezione “Martiri Niguardesi” Niguarda – MILANO

 

http://www.peacelink.it/pace/a/39951.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

UN RACCONTO di VITA PARTIGIANA – Presentazione organizzata da ANPI Niguarda (MILANO)

 

Presentazione dei volumi di Fabrizio Cracolici

– Presidente ANPI Nova Milanese (MB)

Laura Tussi, Promotori e Referenti Progetto “Per Non Dimenticare” – Città di Nova Milanese e Bolzano

“UN RACCONTO DI VITA PARTIGIANA”

 

Con la partecipazione e la Testimonianza diretta di Emilio Bacio Capuzzo, Partigiano e Deportato, Protagonista del Volume

e

“Educazione e Pace. Dalla Shoah al dialogo interculturale” di Laura Tussi – RedazionePeaceLink, Telematica per la Pace, con sede a Taranto

 

Presenta ANGELO LONGHI – ANPI Niguarda (Milano)

 

Interviene RENATO SARTI – Attore, Regista e Direttore del Teatro della Cooperativa

 

Sabato 12 Aprile 2014 ore 16.00

Presso il Centro Culturale della Cooperativa di via Hermada 8

 

Organizza ANPI – Sezione “Martiri Niguardesi” Niguarda – MILANO

 

Nell’ambito delle inziative che l’ANPI di Niguarda promuove nella ricorrenza delle giornate della Liberazione di Milano, quest’anno presentiamo due bei libri.

Il primo è un “Racconto di vita partigiana” di cui riportiamo di seguito l’importante recensione diAlessandro Marescotti pubblicata sulla rivista “Mosaico di Pace” fondata da Don Tonino Bello e diretta da Padre Alex Zanotelli del primo volume “Un racconto di vita partigiana”:

“ Il volume raccoglie la testimonianza di vita di Emilio Bacio Capuzzo, protagonista della lotta contro il nazifascismo nel milanese. La narrazione individuale è collocata nell’ambito della storia complessiva della Resistenza Italiana, a cui il libro dedica ampio spazio ricostruendo prima il periodo dell’antifascismo dalle origini all’8 settembre 1943 e poi la sequenza delle stragi nazifasciste dal 1943 al 1945.
Siamo quindi in presenza di un libro di ampio respiro, molto dettagliato, dal taglio per certi aspetti storico-didattico. E infatti rientra nel progetto “Per non dimenticare” che è promosso dai due autori: Fabrizio Cracolici e Laura Tussi. Il primo è presidente dell’ANPI di Nova Milanese (MB).
Laura Tussi è invece docente, giornalista e scrittrice di libri di pedagogia interculturale, tra cui l’ultimo “Educazione e Pace. Dalla Shoah al dialogo interculturale”, edito anch’esso da MIMESIS.
Il progetto in questi anni ha coinvolto molte persone e associazioni, dando vita a diversi incontri. Il libro rende conto di tale percorso e nella parte finale raccoglie varie testimonianze, prima fra tutti quella di Moni Ovadia, finalizzate a porre attenzione sulla attualità della Resistenza.
La parte più toccante del libro è proprio quella sulla storia del partigiano Emilio Bacio Capuzzo, nato in provincia di Padova nel 1926 e trasferitosi a Nova Milanese nel 1938. Figlio di un operaio socialista che non aveva voluto fare la tessera al Partito Fascista, Emilio Bacio Capuzzo si aggregò nel 1944 ai GAP, i gruppi partigiani, dopo una esperienza di lavoro in fabbrica. Conosce anche la deportazione nel lager di Bolzano. La sua è stata una vita difficile, avventurosa, e questo libro serve a comprendere e a testimoniare come la storia dell’Italia sia stata cambiata proprio da persone determinate e coerenti come lui. E’ giusto dedicare a queste persone un libro, in modo che anche i giovani oggi sappiano che cambiare la storia è possibile, anche con il sacrificio personale…..”

Parleremo anche di un altro libro di Laura Tussi “Educazione e pace” perchè sempre con le parole di Alessandro Marescotti : “ Ci sono almeno tre buoni motivi per fare educazione per la pace oggi, come propone il Libro di Laura Tussi: Primo: fermare le guerre. Secondo: fermare il razzismo. Terzo: fermare la violenza quotidiana nelle scuole.
La nostra è un’epoca di Resistenza. Tutto ciò che lavora contro la sopraffazione e l’imbarbarimento sociale è di fatto costruzione della pedagogia della pace. “Resistere” è oggi lavorare per la destrutturazione dei pregiudizi e delle semplificazioni autoritarie. “Resistere” passa per la promozione di alternative alla violenza. “Resistere” è sperimentare una vita migliore in ambienti accoglienti di quotidianità semplici, sinceri e intelligenti. Abbiamo bisogno di resistere di fronte ad una marea montante di rozza e barbara intolleranza, basata sulla meschinità, sull’egoismo e la protervia più sfacciata. Una protervia che si impara a scuola, a scuola di bullismo. O imparando a odiare gli immigrati, i diversi, le culture che con comprendiamo, quelle distanti, che parlano lingue e tradizioni a noi indecifrabili…..”

Vi aspettiamo

Angelo Longhi
ANPI sezione Martiri Nigaurdesi




Daniele Biacchessi, Giovanni e Nori. Una storia di Amore e di Resistenza, Editori Laterza 2014

Recensione:

Daniele Biacchessi, Giovanni e Nori. Una storia di Amore e di Resistenza, Editori Laterza 2014

http://www.peacelink.it/pace/a/39766.html

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Daniele Biacchessi, Giovanni e Nori. Una storia di Amore e di Resistenza, Editori Laterza 2014

GIOVANNI E NORI. UNA STORIA DI AMORE E DI RESISTENZA

Libro di Daniele Biacchessi

Recensione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Presidente ANPI Sezione di Nova Milanese

Editori Laterza 2014

 

“Giovanni e Nori. Una storia di Amore e di Resistenza” è il libro di cui l’Autore, il caro amico Daniele Biacchessi, va molto fiero, perché lo considera il più bel testo che abbia mai scritto. E insieme a Tiziana Pesce, figlia dei protagonisti della storia narrata, il comandante partigiano Giovanni Pesce e la sua staffetta partigiana Onorina Brambilla, presenta questa opera dettagliatissima e di ampio respiro storicistico e storiografico, ovunque venga richiesta testimonianza. Un libro intenso ed avvincente che ripercorre gli anni della Storia dilaniata dalle dittature, attraverso le leggendarie imprese di Giovanni, durante la Guerra Civile Spagnola e, in seguito, durante la Resistenza al nazismo e al fascismo nel nostro Paese. Due storie, quelle di Giovanni e della sua staffetta Nori, che si dipanano parallelamente in un periodo tra i più oscuri della Storia mondiale. Nori subì anche la deportazione nel campo di concentramento e di smistamento di Bolzano e la sua Testimonianza citata nel libro, viene tratta dall’Archivio Audiovisivo delle Città di Nova Milanese e Bolzano, contenuto nel sito istituzionale “Lager e Deportazione”, nell’ambito del Progetto “Per non dimenticare”. Daniele Biacchessi, con questo libro, tramite la narrazione e il racconto, inserisce la storia dei due protagonisti nella Storia mondiale – “una storia nella Storia”- in sequenze molto intense, ricche di date, eventi, riferimenti storiografici documentati e nomi e cognomi dei protagonisti delle vicende narrate.

Giovanni, spinto dalla povertà, dalla precarietà esistenziale, si trasferisce da Visone, nel Piemonte, in Francia, per lavorare nelle miniere fin da bambino. Nel contempo, Nori trascorre la sua esistenza nella Milano fascista, assediata dalle truppe militari, ed entrambi prendono consapevolezza della propria appartenenza di classe e maturano un forte sentire di cambiamento rivoluzionario, una profonda coscienza comunista, un sentimento di condivisione di alti ideali di pace, libertà e democrazia, uniti dal filo rosso dell’Antifascismo che fa incontrare e innamorare i due giovani. Giovanni intraprende un percorso di rivoluzione nelle Brigate Internazionali nella Spagna assediata dalle truppe fasciste di Franco. Tornando in Italia, viene condannato al confino di Ventotene, dove conosce importanti intellettuali, da Curiel a Pertini, per citarne alcuni. Dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, i detenuti di Ventotene si organizzano e cominciano a tornare nei luoghi di origine. Giovanni inizia la clandestinità a Torino, dove assume il comando delle azioni dei GAP (Gruppi Armati Patriottici).

Nori e Giovanni si conoscono a Milano.

Sono uniti da alti ideali antifascisti di libertà, democrazia e pace che li accompagneranno per tutta la vita, percorrendo insieme anche le tappe storiche del dopoguerra e vivendo la cosiddetta “Resistenza tradita”. Gli ideali resistenziali sono elusi dalla realtà politica di fatto: la vittoria della Democrazia Cristiana, il terrorismo, gli anni di piombo, gli apparati burocratici statali intrisi di retaggi fascisti. Giovanni e Nori sono stati idealmente sempre uniti, anche prima di conoscersi personalmente, dal filo rosso di nobili principi condivisi che non si è mai spezzato, ma si è tenacemente consolidato negli anni, diventando così un simbolo della lotta per la Pace, perseguita sia sotto la devastazione nazifascista, sia in seguito, in difesa dei diritti sanciti della Costituzione, nata dalla Resistenza. Finita la guerra, la loro Resistenza è continuata con la coerenza e con l’ottimismo della volontà, tipici delle persone che hanno pagato con il proprio sacrificio per le scelte compiute, sopportando prove durissime, con cui hanno affermato la speranza in un mondo di pace e di impegno contro tutte le guerre e le violenze, contro tutte le dittature, i totalitarismi e a favore dell’emancipazione e dell’attuazione dei diritti di tutti gli esseri umani.

Note:

Su PRESSENZA – International Press Agency:
http://www.pressenza.com/it/2014/02/giovanni-e-nori-una-storia-di-amore-e-resistenza/

 




PeaceLink e ANPI – Memoria e Memorie: il significato della Resistenza come appello alla Nonviolenza nel futuro della Storia

ANPI ISPRA (Varese) e ANPI NOVA MILANESE (Monza e Brianza) organizzano e propongono:

PeaceLink e ANPI – Memoria e Memorie: il significato della Resistenza come appello alla Nonviolenza nel futuro della Storia

“La Nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere” Stéphane Hessel

http://www.peacelink.it/pace/a/39626.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

“La Nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere” Stéphane Hessel

ANPI ISPRA (Varese) e ANPI NOVA MILANESE (Monza e Brianza) organizzano e propongono:

DANIELE BIACCHESSI

presenta, insieme con gli Autori e con il Partigiano e Deportato Emilio Bacio Capuzzo, protagonista del Libro:

“EDUCAZIONE e PACE. Dalla Shoah al dialogo interculturale”

e

“UN RACCONTO DI VITA PARTIGIANA. Il ventennio fascista e la vicenda del Partigiano e Deportato Emilio Bacio Capuzzo”

 

di Laura Tussi Fabrizio Cracolici

 

CIRCOLO CULTURALE ANPI ISPRA

via Banetti, 1 Ispra (Varese)

Giovedì 6 Marzo 2014 ore 20.30

 

ANPI ISPRA e ANPI NOVA MILANESE “Per Non Dimenticare”

 

 




Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

PeaceLink e Palestina Rossa presentano:

Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

Un’antologia di autori inediti. Progetto e cura di Susanna Sinigaglia. Presentazione di Wasim Dahmash

http://www.peacelink.it/pace/a/39616.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

EBREI ARABI: TERZO INCOMODO?

A….A.V.V.

Progetto e cura di Susanna Sinigaglia

Presentazione di Wasim Dahmash

Recensione di Laura Tussi

Editore Zambon, 2012

 

Con una antologia di autori inediti, il libro “Ebrei arabi: terzo incomodo?”, a cura di Susanna Sinigaglia, cerca di teorizzare risposte relative all’irrisolto e complesso conflitto che degenera da anni nell’area più calda del Medioriente. Nella presentazione, Wasim Dahmash sottolinea ed evidenzia i processi che prevedono una società in cui cittadini “metropolitani” godono di diritti da cui gli indigeni sono esclusi. Si presuppone così una scala gerarchica in cui i quasi indigeni assimilati, ossia gli ebrei arabi, i cosiddetti mizrachi nel caso israeliano, occupano conseguentemente gli ultimi gradini della scala sociale, assieme agli indigeni di popolazioni altre; questi ultimi però da eliminare, secondo la logica nazionalista. Nella questione israelopalestinese entrano in gioco meccanismi concomitanti legati alla gestione sociopolitica dell’intera area mediorientale – sottolinea nell’introduzione Susanna Sinigaglia – per cui il peggioramento della situazione di fatto risulta funzionale al controllo dei territori e delle popolazioni, da parte dei potentati arabi, ma anche israeliani, entrambi sottoposti al controllo delle potenze coloniali e neocoloniali dell’Occidente, impegnate ad assicurarsi lo sfruttamento delle risorse energetiche e la spartizione mondiale del potere. Il saggio di Oren Yiftachel, con cui si è deciso di aprire questa antologia di testi inediti, relativi alla questione in oggetto, inquadra globalmente la problematica israelopalestinese, secondo un modello teorico ed interpretativo diverso, impostato sul concetto di regime “etnocratico” e fornisce una chiave di lettura differente dalla semplice contrapposizione senza vie di uscita fra israeliani e palestinesi. Come sottolineano infatti, a vari livelli, e con enfasi diverse, tutti i saggi proposti nel volume, il processo di dearabizzazione e giudaizzazione del territorio non coinvolge solo le popolazioni arabo-palestinesi, ma anche quelle arabo-ebraiche. La teorizzazione dell’etnocrazia inizia con l’identificazione delle principali forze politiche e storiche che modellano le strategie e il territorio di questo tipo di regime, in quanto società colonizzatrice, con un ben preciso e definito etnonazionalismo, fondato sulla logica del capitale, ossia una struttura etnica di classe che si impone nella gerarchia del gruppo dominante che, generalmente, occupa nicchie di privilegio, mentre gli immigrati sono emarginati dai centri del potere economico. La gerarchia etnocratica è un regime che cerca di estendere e conservare uno sproporzionato controllo etnico sul territorio multietnico conteso. Per sostituire gli indigeni con gli ebrei arabi immigrati e occultare, svilire e rendere marginale il passato palestinese, si impone una forma esclusiva di etnonazionalismo conservatore, con il mito della glorificazione della frontiera, per costruire l’identità nazionale ebraica e tali sentimenti si traducono in un pervasivo programma di socializzazione territoriale ebraico-sionista, che si esprime nei programmi scolastici, nei discorsi politici, nella musica popolare e in altre sfere pubbliche, per cui la colonizzazione continua ad essere una pietra angolare della costruzione nazionale sionista, fino ad arrivare alla segregazione intra-ebraica, sollevando appunto la questione chiave della società ebraica tra democrazia ed etnocrazia e tra etnocrazia e teocrazia, che si impone con un regime colonizzatore e segregazionista. Come ha denunciato Moni Ovadia, in una presentazione in pubblico di questo volume, l’area israelopalestinese risulta gravata da decenni di propaganda e menzogne per cui è difficile orientarsi. Gli Ebrei sono donne e uomini come tutti gli altri. Il Popolo ebraico è stato annientato dal razzismo, dal nazionalismo e dal potere, perché in realtà gli Ebrei, come anche i Rom e i Sinti, furono perseguitati, in quanto privi di una terra e di un territorio e rappresentavano un pensiero e un modo di vivere diverso e alternativo a quello imposto dalla cristianità e comunque non rientravano negli schemi, in quanto vittime di stereotipi secolari. Oltre alla propaganda israeliana, occorre comprendere che il vero nemico di Israele è chi ignora la situazione, ossia l’indifferenza per la sofferenza e le ideologie razziste e pararazziste che permeano l’umanità ad ogni latitudine e longitudine, ed in ogni tempo e periodo storico, nel grande limite umano della prevaricazione razzista sull’altro, identificato come capro espiatorio, nella corsa sfrenata per detenere il controllo e il potere assoluti, a discapito dei più deboli, nella protervia dell’arroganza dettata dal pregiudizio e dallo stereotipo razzista, dall’intolleranza e dalla discriminazione del proprio simile, nello svilimento della ragione e del lume dell’umanità.

Note:

sul Sito PALESTINAROSSA.it:
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/story/recensione-del-libro-ebrei-arabi-terzo-incomodo

 




Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

PeaceLink e Palestina Rossa presentano:

Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

Un’antologia di autori inediti. Progetto e cura di Susanna Sinigaglia. Presentazione di Wasim Dahmash

http://www.peacelink.it/pace/a/39616.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

EBREI ARABI: TERZO INCOMODO?

A…A.V.V.

Progetto e cura di Susanna Sinigaglia

Presentazione di Wasim Dahmash

Recensione di Laura Tussi

Editore Zambon, 2012

 

Con una antologia di autori inediti, il libro “Ebrei arabi: terzo incomodo?”, a cura di Susanna Sinigaglia, cerca di teorizzare risposte relative all’irrisolto e complesso conflitto che degenera da anni nell’area più calda del Medioriente. Nella presentazione, Wasim Dahmash sottolinea ed evidenzia i processi che prevedono una società in cui cittadini “metropolitani” godono di diritti da cui gli indigeni sono esclusi. Si presuppone così una scala gerarchica in cui i quasi indigeni assimilati, ossia gli ebrei arabi, i cosiddetti mizrachi nel caso israeliano, occupano conseguentemente gli ultimi gradini della scala sociale, assieme agli indigeni di popolazioni altre; questi ultimi però da eliminare, secondo la logica nazionalista. Nella questione israelopalestinese entrano in gioco meccanismi concomitanti legati alla gestione sociopolitica dell’intera area mediorientale – sottolinea nell’introduzione Susanna Sinigaglia – per cui il peggioramento della situazione di fatto risulta funzionale al controllo dei territori e delle popolazioni, da parte dei potentati arabi, ma anche israeliani, entrambi sottoposti al controllo delle potenze coloniali e neocoloniali dell’Occidente, impegnate ad assicurarsi lo sfruttamento delle risorse energetiche e la spartizione mondiale del potere. Il saggio di Oren Yiftachel, con cui si è deciso di aprire questa antologia di testi inediti, relativi alla questione in oggetto, inquadra globalmente la problematica israelopalestinese, secondo un modello teorico ed interpretativo diverso, impostato sul concetto di regime “etnocratico” e fornisce una chiave di lettura differente dalla semplice contrapposizione senza vie di uscita fra israeliani e palestinesi. Come sottolineano infatti, a vari livelli, e con enfasi diverse, tutti i saggi proposti nel volume, il processo di dearabizzazione e giudaizzazione del territorio non coinvolge solo le popolazioni arabo-palestinesi, ma anche quelle arabo-ebraiche. La teorizzazione dell’etnocrazia inizia con l’identificazione delle principali forze politiche e storiche che modellano le strategie e il territorio di questo tipo di regime, in quanto società colonizzatrice, con un ben preciso e definito etnonazionalismo, fondato sulla logica del capitale, ossia una struttura etnica di classe che si impone nella gerarchia del gruppo dominante che, generalmente, occupa nicchie di privilegio, mentre gli immigrati sono emarginati dai centri del potere economico. La gerarchia etnocratica è un regime che cerca di estendere e conservare uno sproporzionato controllo etnico sul territorio multietnico conteso. Per sostituire gli indigeni con gli ebrei arabi immigrati e occultare, svilire e rendere marginale il passato palestinese, si impone una forma esclusiva di etnonazionalismo conservatore, con il mito della glorificazione della frontiera, per costruire l’identità nazionale ebraica e tali sentimenti si traducono in un pervasivo programma di socializzazione territoriale ebraico-sionista, che si esprime nei programmi scolastici, nei discorsi politici, nella musica popolare e in altre sfere pubbliche, per cui la colonizzazione continua ad essere una pietra angolare della costruzione nazionale sionista, fino ad arrivare alla segregazione intra-ebraica, sollevando appunto la questione chiave della società ebraica tra democrazia ed etnocrazia e tra etnocrazia e teocrazia, che si impone con un regime colonizzatore e segregazionista. Come ha denunciato Moni Ovadia, in una presentazione in pubblico di questo volume, l’area israelopalestinese risulta gravata da decenni di propaganda e menzogne per cui è difficile orientarsi. Gli Ebrei sono donne e uomini come tutti gli altri. Il Popolo ebraico è stato annientato dal razzismo, dal nazionalismo e dal potere, perché in realtà gli Ebrei, come anche i Rom e i Sinti, furono perseguitati, in quanto privi di una terra e di un territorio e rappresentavano un pensiero e un modo di vivere diverso e alternativo a quello imposto dalla cristianità e comunque non rientravano negli schemi, in quanto vittime di stereotipi secolari. Oltre alla propaganda israeliana, occorre comprendere che il vero nemico di Israele è chi ignora la situazione, ossia l’indifferenza per la sofferenza e le ideologie razziste e pararazziste che permeano l’umanità ad ogni latitudine e longitudine, ed in ogni tempo e periodo storico, nel grande limite umano della prevaricazione razzista sull’altro, identificato come capro espiatorio, nella corsa sfrenata per detenere il controllo e il potere assoluti, a discapito dei più deboli, nella protervia dell’arroganza dettata dal pregiudizio e dallo stereotipo razzista, dall’intolleranza e dalla discriminazione del proprio simile, nello svilimento della ragione e del lume dell’umanità.

Note:

sul Sito PALESTINAROSSA.it:
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/story/recensione-del-libro-ebrei-arabi-terzo-incomodo

 

 




BARRICATE – L’Informazione in Movimento presenta il libro “Educazione e Pace” con la Recensione di Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink

BARRICATE – L’Informazione in Movimento presenta il libro “Educazione e Pace” con la Recensione di Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink

PeaceLink e BARRICATE – Scuola e Diversità: siamo tutti migranti. Alla ricerca di un significato per l’esistenza

http://www.peacelink.it/pace/a/39607.html

http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

 

PeaceLink, BARRICATE e PRESSENZA – Scuola e Diversità: siamo tutti migranti. Alla ricerca di un significato per l’esistenza

SCUOLA E DIVERSITA’

La pluriappartenenza cosmopolita

Educare alla diversità

Siamo tutti erranti nei nostri errori, nei timori, nello spaesamento quotidiano.

Siamo tutti migranti nelle nostre ansie, angosce e paure, alla ricerca di un senso e di un significato per l’esistenza.

 

di Laura Tussi – PeaceLink

 

La scuola, gli insegnanti, i genitori, devono porsi all’ascolto, all’accoglienza, con la responsabilità molto importante di incentivare alla convivenza pacifica e al dialogo interculturale, ponendosi in atteggiamenti di ascolto delle storie di vita intrise di traumi, frustrazioni, insuccessi che il viaggio di migrazione comporta con lo sradicamento da un altrove remoto di tradizioni, lingue e costumi differenti. Purtroppo si assiste spesso ad episodi di intolleranza all’interno delle comunità, a tensioni, liti, conflitti, dove l’altro viene messo da parte, escluso, non accettato, perché anche la società stessa discrimina le differenze sotto varie forme ed aspetti, a livello macrosociale. Risulta difficile riflettere se stessi nell’altro, attivando meccanismi comportamentali pacifici e non violenti di comprensione ed empatia, dove prevale invece l’aggressività e la presunzione di appartenere al gruppo dominante e ritenuto migliore.

Occorre estirpare il pregiudizio, sradicare lo stereotipo per prevenire la ghettizzazione, la discriminazione degli immigrati che tendono a isolarsi dal contesto educativo dei paesi d’accoglienza, cercando invece ambiti di interazione tra simili e affini, evitando il confronto e il dialogo con l’altro. Una scuola orientata ad un futuro di pace deve aprirsi al rispetto, all’interazione, all’inserimento, incentivando il racconto e la narrazione reciproca delle storie di vita, raccogliendo e annotando esperienze esistenziali, facendo riemergere difficoltà e frustrazioni, analizzando situazioni e circostanze. L’insegnante è chiamato a trasformare gli atteggiamenti aggressivi e violenti in stimoli relazionali positivi, per far comprendere l’importanza di situazioni di confronto e interazione, in prospettive di dialogo pacifico e rispettoso dell’altro. L’inserimento dell’allievo migrante nella classe deve avvenire gradatamente, tramite un’interrelazione reciproca orientata a situazioni non violente e di accoglienza, in ambiti di discussione e dialogo, dove il conflitto non venga assolutamente concepito come negativo, ma si cominci proprio da esso per approdare a situazioni di interrelazione ed interscambio, perché i comportamenti microsociali riflettono sempre prospettive macrosociali. Dunque, una società votata al razzismo e alla discriminazione produce sempre elementi di discontinuità, di intolleranza nell’ambito sociale più circoscritto, come può essere la scuola, la comunità, la famiglia. Dalla scuola deve propagarsi il monito universale della pace e dell’antirazzismo, contro ogni intolleranza, ogni omofobia e discriminazione, nell’accoglienza reciproca di tutti e di ciascuno, nel rispetto dei problemi psicologici e comportamentali, nella valorizzazione delle diversità, dall’omosessualità alle differenze di genere e a tutte le prerogative interreligiose e le caratteristiche culturali, dove è necessario recuperare riconoscere una personale identità, per poi riparteciparla con la personalità altrui, per incontri vicendevoli che conducano alla comprensione, in un mondo che necessita di pace a livello sociale ed istituzionale, locale e globale.

Un’adeguata politica interculturale deve porsi l’obiettivo di aprire la scuola ai migranti, tramite percorsi di accoglienza, perché l’istituzione formativa è intesa come luogo educativo di accettazione, interazione e dialogo interculturale.

La scuola che apre ai migranti consegna valori di arricchimento tra culture a tutte le generazioni presenti e operative nel contesto formativo. L’umanità nelle diverse latitudini e longitudini spaziali e temporali è sempre stata nomade e itinerante.

In questa prospettiva l’istituzione scolastica è chiamata ad aprirsi allo straniero, al Rom, al nomade, per concepire il concetto dell’erranza come avventura esistenziale di valorizzazione reciproca, di ampliamento delle prospettive culturali ed interculturali, nei vari contesti formativi ed educativi, dove la differenza è sempre apportatrice di novità, di cambiamento, in una prospettiva positivamente rivoluzionaria, nell’ambito del contesto quotidiano dell’educazione. Il migrante apporta sempre un bagaglio di nozioni, lingue e di esperienze molto ricco e variegato, e nell’incontro con la comunità e la scuola di accoglienza, bambini e genitori di tutte le nazionalità si devono sentire reciprocamente coinvolti in processi di cambiamento, in percorsi dialogici caratterizzati da un’osmosi educativa tra diversi, dove l’altro, il più umile, il differente è sempre apportatore di arricchimento valoriale, in esperienze esistenziali remote e recenti, di traumi, sofferenze, cesure e discontinuità della propria storia di vita. Nel viaggio di migrazione, lo straniero ha conosciuto il disagio, la povertà di paesi lontani, di costumi, lingue e tradizioni originarie, che nel luogo di accoglienza, come la scuola possono costituire fattori di interesse reciproco tra allievi.

Allegati

Vedi anche

Pace

BARRICATE- L’Informazione in Movimento- Memoria, Costituzione e Antifascismo

Con il contributo di PeaceLink-Telematica per la Pace e Pressenza-International Press Agency

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Pace

BARRICATE – L’informazione in Movimento- per Don Andrea Gallo

BARRICATE propone, tra gli altri importantissimi argomenti, un’intervista a Don Andrea Gallo, per la Pace, per la nonviolenza, contro le armi…

2 luglio 2013 – Laura Tussi