Giulianova. Marialuisa De Santis: 7 su 7, un artista al giorno, Elvis Spadoni
Per sette giorni, ogni giorno, proporrò tre opere di un artista che, incontrato nel corso del mio lavoro, mi ha particolarmente colpito e ovviamente convinto della sua produzione. La mia è chiaramente una scelta di parte e tradisce il mio interesse verso una strada nuova per l’espressione sacra e verso un’arte che indaghi il mistero della vita e dell’identità, soprattutto femminile. In un momento in cui i tempi della nostra esistenza si allentano e sia pure forzosamente la fretta è abbandonata, le immagini possono avere finalmente l’attenzione che meritano. L’arte può essere carezza dell’anima o colpo al cuore e alla mente ma mai può lasciarci indifferenti: l’arte è un mondo altro eppure così legato e importante per quello della quotidianità. Adesso che torneremo ad uscire frequentiamolo di più: ci farà solo del bene.
Marialuisa De Santis*
Comincio con un pittore che dimostra chiaramente come la pittura figurativa non sia mai finita e come anzi possa diventare in certi casi un percorso attuale e affascinante.
Elvis Spadoni, nato nel 1979 ad Urbino frequenta il seminario di Rimini per poi decidere che la sua strada è un’altra. Si iscrive quindi all’Accademia di Belle Arti della sua città ed affronta il complesso e oggi quasi negletto tema del sacro attraverso una pittura figurativa che riesce a coniugare la grande tradizione pittorica del passato con lo spaesamento dello sguardo contemporaneo che si evidenzia nella contrapposizione di presenza-assenza nei suoi quadri: la presenza forte e autorevole dell’immagine che si staglia sulla luce bianca misteriosamente invadente dei grandi spazi della tela. Quasi inutile sottolineare la sua straordinaria capacità di adoperare il disegno e il colore, spesso in tele di grandi dimensioni e di straniante atmosfera.
Elvis Spadoni della sua arte e del rapporto col sacro scrive:
Il sacro per me non è qualcosa che si contrappone al profano ma è piuttosto una dimensione che pervade ogni cosa e la cui rivelazione dipende dall’occhi di chi guarda. Mi ritrovo nelle parole di Pier Paolo Pasolini e nel suo sguardo religioso sul mondo per cui poteva dire: “ogni oggetto per me è miracoloso”. Sacro e profano danzano insieme e circoscrivere il sacro è spegnere la musica più profonda che anima il mondo. L’arte gioca un ruolo cruciale in questo rapporto proprio per il suo ruolo “educativo” nei confronti dello sguardo. Il pittore, l’artista, presentano una visione del mondo che ha come tema sempre il rapporto fra le cose e la loro “anima”, offre sempre un ideale sguardo sulla verità delle cose. Il mio modo di dipingere che potrei definire in un certo senso realista nasce proprio dalla mia convinzione che il sacro è “diffuso”, appartiene alla superficie delle cose ed è mischiato alla creazione. É questa la bellezza a cui l’arte può convertirci.
Il fatto che spesso utilizzi narrazioni che provengono dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana potrei dire che da questo punto di vista è secondario. Il “tema” del racconto è un ulteriore elemento di riflessione sul sacro che deve sommarsi alla pratica artistica senza essere un alibi alla ricerca estetica dell’artista nei confronti del sacro che parla sia la lingua dei racconti ma anche, e soprattutto, quella muta delle immagini e dei segni.
Un altro elemento che trovo n me quando mi rapporto al sacro, e che bilancia questo atteggiamento “profano”, di amore per il fango, è quello di una forte ritrosia nella manifestazione esplicita del sacro o dei punti più significativi di una rappresentazione. Per farmi capire: spesso elimino dalla composizione elementi che normalmente sono i punti focali, ad esempio il corpo di Cristo nella scena di una crocifissione, oppure amo nascondere i volti e i corpi, sia con forti luci o con ombre se non con arditi tagli di inquadratura. Voglio che lo spettatore si senta libero e non aggredito dall’immagine e dal racconto che propone.
Infine, la soluzione che più amo quando affronto il sacro è quella di utilizzare ampie porzioni del dipinto completamente bianche. É per me l’indispensabile spazio del silenzio, del nulla, dell’attesa, della riflessione, del dubbio, dell’invisibile, che di fronte al sacro è necessario affiancare. É il respiro del quadro che si alterna all’immagine reale e prosaica. É questo lo spazio di Dio e del suo contrario.
*direttrice del Museo d’Arte dello Splendore e Critica d’Arte